MONTE CORO




25/05/2014 da solo
Tempo salita :
Percorso intero :
Dislivello salita :
Carta 1/25.000 :
Impegno :
ore 4,30
ore 7,45
m. 1600
Tabacco foglio 24
EE un passaggio di 1° e alcuni tratti dove mancano riferimenti e tracce


Balcone panoramico per eccellenza il Monte Coro, non per la vastità delle vedute dalla sua cima vista l’altezza, ma per la varietà e gli scorci verso i gruppi montuosi che lo circondano. L’avventuroso e selvaggio avvicinamento poi non fa che aumentare la felicità che si prova venendone a capo. Possenti il Burèl e la Schiara, piantati dentro la scoraggiante Val Ru da Molìn, coprono la vista verso la pianura e dall’altra parte la poetica Talvena mostra le sue sconosciute dorsali secondarie. Indecifrabili come sempre i Monti del Sole, imperiosa invece la mole del Monte Celo che domina la pur grande Valle del Cordévole. Una giornata piena per l’escursionista e se è vero che le prime due ore sono monotone, la scoperta del Pian de i Gat e la seguente salita sul Monte Coro lo ripagheranno con gli interessi. Due ore ci vogliono tutte, in dislivello e soprattutto in distanza, a rimontare tutta la valle fin dove è possibile attraversarla e arrivare finalmente al Rifugio Bianchét dall’altra parte. Aspre foreste e precipizi che la stradina taglia sorprendentemente a mezza costa su una cengia poco naturale, una caratteristica in queste valli ormai prossime alla pianura. La Schiara con la sua Guséla cattura lo sguardo, ma questa volta l’obiettivo è il Monte Coro. Il sentiero porta a risalire la Costa del Castelàz fino a una radura invasa dalla sterpaglia e quel che rimane della Casèra del Castelàz, anche qui la natura cancella poco a poco le vecchie fatiche dell’uomo.

Percorso:sulla Strada Statale Agordina passiamo le case “La Stanga”e proseguiamo per oltre un chilometro fino in località “Casa de la Vècia (m 449)”. Si nota uno spiazzo per le macchine, ma soprattutto la caratteristica scala di cemento che invia il sentiero 503 al Rifugio Bianchét. Parliamo in verità di una scorciatoia per chi cammina e vuole evitare l’inutile allungo da Pinèi. Grazie ad un ponticello passiamo la forra che il Torrente Vescovà ha limato nei millenni per sfociare sulla vallata del Cordévole. Dall’altra parte rimontiamo i boscosi pendii dei Coi Bassi, fino ad agganciare la stradina che corre parallela alla valle (destra orografica). Da una parte le rocce incombenti, sotto il vuoto insondabile, si allunga il collo cercando di vederne il fondo, invano, arriva solo il rumore delle acque. Ci coprono il sole con le loro pareti, le sagome della Spirlónga e del Coro stesso a farci ricordare quanto siamo piccoli. Su per i tornanti e le scorciatoie dov’è possibile tagliare, superiamo la testata della valle e non ci si aspetta il comparire improvviso di una famiglia di caprioli, che di colpo fa svanire il torpore e l’inerzia del monotono andare. Nessuno gli fa del male da queste parti, ma il loro istinto di sopravvivenza li fa allontanare a gambe levate. Ci abbassiamo poi fino ad attraversare il torrente e portarci con un paio di svolte in corrispondenza del Rifugio Bianchét, dopo un ulteriore ultimo allungo (m 1245, ore 2,00). Il Pian de i Gat è un’oasi prativa, un respiro in mezzo ai boschi opprimenti che ci circondano, pochi minuti seduti sulle panche e siamo rapiti dalla serena positività che ci trasmette. L’affluenza deve essere buona nonostante l’avvicinamento piuttosto lungo, fin qui infatti si arriva anche in mountan bike. L’inverno 2013-2014 con nevicate davvero esagerate, ha stravolto i versanti boscosi delle Dolomiti bellunesi, condizionando sia le strade sia i sentieri che li attraversano. Sono stanziati fondi per il ripristino e la sistemazione degli stessi, ma le ferite maggiori rimangono le distese di alberi abbattuti dalle slavine, che solo il tempo saprà rimarginare. Anche questi posti hanno le loro cicatrici e avremo modo di vederle più in alto. Ci rimettiamo in moto dunque, imboccando il sentiero 503 che parte a fianco del rifugio. La deviazione arriva presto ed è segnalata da un cartello, che a destra indirizza sulla cima del Monte Coro (sent.537). Diagonalmente e più avanti con qualche svolta ci portiamo in quota lungo la Costa del Castelàz. La fluidità del percorso è interrotta sul Boràl del Làip, completamente stravolto da un’enorme slavina che ha spazzato alberi e tutto quel che ha trovato sulla sua strada. In attesa che il flusso dei camminatori segni una traccia concreta, noi lo attraversiamo orizzontalmente trovando dall’altra parte la prosecuzione del sentiero. Troviamo poco dopo la radura e quel che rimane della Casera de i Castelàz, circondata dalle ortiche a metri 1609. La traccia ben marcata e ben segnalata, va ora ad attaccare decisamente il filo di cresta che s’intuisce sopra un’ultima rampa affiancati alla roccia. Qui si sosta inevitabilmente. Di colpo il vuoto dall’altra parte, sulla Val Ru da Molìn, il Burèl si va a piantare dentro e sembra sorreggere l’intero blocco centrale della Schiara. Ancora non ci si rende conto che la cima del Coro è distante una mezz’ora, tutta da gustare. Tra blocchi e bassa vegetazione, in saliscendi, se ne vede il profilo e gli si va incontro. Passiamo la Forcella Boràl de l’Ors, antico collegamento tra la Val Vescovà e la Val Ru da Molìn e arriviamo alla base del castello. Una spaccatura sulla roccia, friabile (1°), porta al piano superiore, dove sicuramente mettiamo in fuga i camosci. Due ali di rododendri infine, ci accompagnano sul punto più alto (Cima del Coro m 1985, ore 4,30 dalla macchina).

Tempo totale salita ore 4,30.
Dislivello salita m 1600 circa.


Ritorno:Stesso itinerario per la discesa, in ore